Ritorno dopo un lungo iato (le cui cause vanno ricercate in una generale stanchezza e dai preparativi per la partenza) per finire queste mie cronache, perché non mi piace lasciare le cose a metà.
Avevo concluso l’episodio precedente con un bel tramonto sull’oceano, e apro questo con un viaggio verso nord, al di là del Golden Gate Bridge, verso il parco nazionale di Muir Woods dove crescono delle sequoie enormi. Siamo partiti in una bella mattina di sole con Arsène e Manu, che è venuto a prenderci con una Porsche maraglissima per poi sfrecciare sulle strade di San Francisco.
Il parco di Muir Woods è enorme, ci sono molti sentieri anche un po’ lunghetti ma io non sono fatto per la montagna (forse non sono proprio fatto per la natura) e quindi ci siamo limitati a passeggiare in mezzo agli alberi altissimi. Alcune sequoie hanno diverse centinaia di anni, e molte crescono in maniera spontanea intorno a tronchi caduti o spezzati dai fulmini, come a proteggere il loro genitore 1. Nonostante ci fossero molte persone regnava un silenzio un po’ surreale, e mi è sembrato giusto, e bello.
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Dopo un rapido caffè abbiamo salutato le sequoie e ci siamo rimessi in macchina per raggiungere la costa a nord del parco, fermandoci in una piccolissima città che si chiama Stimson Beach. Faceva un caldo tremendo e ci siamo rifugiati in un ristorante che almeno aveva qualche ombrellone aperto, e abbiamo fatto un pranzo luculliano a base di pesce e altre amenità di mare (forse sto superando il mio trauma relativo ai molluschi originato l’estate scorsa, ma non vorrei fare il passo più lungo della proverbiale gamba). Dopo aver fatto un giretto sulla spiaggia ci siamo rimessi in macchina e siamo tornati verso San Francisco, dove abbiamo passato le successive ore a leggere e chiacchierare, prima di una bella cenetta con gli avanzi dello zuppone.
Il venerdì è stato un giorno di transizione, molto lento e soleggiato: ho letto un po’ al parco, scritto queste cronache al bar, passeggiato nel quartiere intorno a casa di Arsène capitando in una piccola stradina ricoperta di murales.
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Ho incontrato a più riprese delle macchine senza conducente, che a quanto pare hanno superato una serie di test e quindi sono autorizzate a percorrere le strade di San Francisco, ma io non mi fido e temo sempre di venire travolto da queste autovetture robotiche. Fanno un po’ impressione, il sedile vuoto, il volante che gira da solo, ogni tanto una persona seduta lato passeggero perché fondamentalmente sono dei taxi. Io avrei paurissima ma pare ci siano liste d’attesa lunghe mesi per accedere a questo servizio futuristico, d’altro canto la Silicon Valley è proprio lì dietro.
Nonostante i miei timori sono sopravvissuto al traffico della metropoli e sono ritornato a casa, da cui siamo partiti (io, Arsène, Manu e Finn) verso sera in direzione Silver Lake per una piccola gita fuori porta nelle zone montane ad est della California. Dormivamo in una casettina di legno con degli enormi letti a castello comodissimi e una piccola stufa, in un posto dall’ossimorico nome Desolation Hotel situato nella Hope Valley.
Dopo una notte di meritato riposo, siamo partiti di buon’ora alla volta dei laghi, ancora ghiacciati nonostante l’estate ormai alle porte. Il sole, che scaldava noi, non aveva ancora sciolto completamente l’acqua, e facendo molta attenzione si poteva quasi camminare sul ghiaccio.
Dopo aver passeggiato un po’ in riva al lago (questo è Silver Lake) ci siamo incamminati nel fitto della foresta, per un lungo hike che ha messo a dura prova il mio corpo e il mio spirito. La neve era alta e compatta, il sole allo zenit, e noi chiaramente non equipaggiati per tre ore di cammino, ma il panorama era incredibile e penso ne sia comunque valsa la pena. Nel bosco c’erano zone in cui tutti gli alberi erano bruciati, gli incendi in California sono all’ordine del giorno e devo dire che faceva un po’ impressione il contrasto tra i tronchi anneriti e la neve bianchissima.
Ritornati alla macchina ci siamo diretti verso Lake Tahoe, che è il lago più grande della zona e sulle cui rive hanno costruito una piccola città che si vuole un centro montano (molti noleggi di sci e snowboard, casette di legno) ma che, a metà maggio, sembrava decisamente fuori posto. Abbiamo pranzato (intorno alle 17) in un ristorante tailandese molto buono e poi abbiamo passeggiato intorno al lago fino a sera. Abbiamo addirittura oltrepassato il confine con il Nevada (il lago è diviso fra i due stati) e sono comparsi cinque casinò nel raggio di duecento metri, ma siamo in fretta ritornati in California per guardare il tramonto sul lago.
Una cena frugale e un po’ di parole crociate hanno occupato il resto della sera, e senza che ce ne rendessimo conto era già ora di andare a dormire. La mattina dopo abbiamo mangiato a quattro palmenti e poi ci siamo rimessi in macchina per tornare a San Francisco. Salutato Manu, abbiamo preparato la cena e passato la serata a leggere sul divano sotto il piumone perché ridendo e scherzando la temperatura si era sensibilmente abbassata.
Lunedì, il mio ultimo giorno a San Francisco, dopo un rapido caffè sono partito alla volta della zona nord-ovest della città, dalle parti del Golden Gate Bridge, per esplorare un po’ un grande parco che si estende fino alla costa e ad un quartiere molto ricco che si chiama Sea Cliff.
Mi sono fermato innanzitutto al Palace of Fine Arts, che non ho capito esattamente cosa sia ma è molto scenografico e quindi ne è valsa la pena. Nel laghetto nuotavano tantissimi uccelli bianchissimi (non sembravano gabbiani ma le mie conoscenze ornitologiche sono assai limitate), e un sacco di famiglie passeggiavano nel parco nonostante il cielo grigio.
Ho proseguito lungo una spiaggia enorme che si estende quasi fin sotto al Golden Gate Bridge, ma dopo poco ho raggiunto un sentiero di terra battuta perché era veramente faticoso camminare sulla sabbia. Le nuvole erano veramente basse, la nebbia pare una costante di questa zona ma per fortuna io l’ho incontrata solo l’ultimo giorno.
Abbandonta la spiaggia ho iniziato la salita (il parco è ovviamente sul cucuzzolo di una montagna), ma dalla cima si vedeva tutta la baia. Proseguendo verso Sea Cliff, per fortuna, il sentiero iniziava a scendere lungo la costa: con il cielo plumbeo l’oceano faceva quasi paura, e dopo un’oretta di cammino sono tornato al livello del mare. Sulla spiaggia, oltre a qualche persona, c’era uno stormo di corvi grandi come gatti che mangiucchiavano e svolazzavano in giro: li ho guardati con timore reverenziale e mi sono seduto a qualche decina di metri da loro per non disturbarli. Ho letto un pochino e poi mi sono rimesso in marcia, e dopo un rapido giretto tra i villoni di Sea Cliff ho preso un autobus che mi ha riportato verso casa. Sull’autobus oltre a me c’erano moltissimi liceali, e in particolare un terribile gruppo di maschi che urlavano e facevano schifo ma che dire, tutto il mondo è paese.
A casa di Arsène ho fatto la valigia e mangiato un boccone prima di dirigermi verso l’aeroporto, e ho infine salutato San Francisco guardando il sole tramontare attraverso le vetrate. Qui finisce la cronaca delle mie avventure californiane, e va detto che fra qualche ora salirò su un aereo che mi riporterà in Italia, ma non è detto che il resoconto delle ultime settimane statunitensi non arrivi, con un po’ di ritardo, nei prossimi giorni.
Grazie di avermi letto, e ci vediamo (per davvero) tra pochissimo. Baci stellari.